L’attacco agli Stati Uniti ha spinto molti giornalisti a schierarsi dalla parte della nazione ferita, abbandonando un approccio critico e a tutto campo. Allo stesso tempo, l’avvento di Internet e dei social ha stravolto il metodo giornalistico classico, mettendo in discussione la ricerca e la costruzione della notizia stessa, nonché la funzione del giornalismo
L’11 settembre 2001 il mondo intero ha appreso la notizia dell’attacco alle Torri Gemelle dalla televisione. Di lì a poco, la stampa ha dovuto trovare le parole per raccontare una nuova forma di conflitto, complessa e difficilmente definibile, calibrando i termini nel modo più oggettivo possibile oppure scegliendo apertamente di schierarsi. In molti casi, è stato l’impatto potente e coinvolgente dell’evento a prendere il sopravvento sull’obiettività.
La rivincita del patriottismo
In tutto il mondo, ma specialmente negli Stati Uniti, l’impatto emotivo dell’attacco ha portato molti giornalisti a rinunciare a un approccio obiettivo, prendendo le parti della nazione colpita. Il patriottismo ha avuto la meglio, e diversi reporter hanno sentito il dovere di sostenere la guerra americana contro il terrorismo.
Non tutti, naturalmente. La casa editrice McClatchy, che gestisce una quarantina di quotidiani, ha fornito una copertura dettagliata dell’evento e delle sue evoluzioni, ribaltando in seguito la notizia che Saddam Hussein possedesse armi di distruzioni di massa. Lo riporta Poynter, secondo il quale il fatto che McClatchy abbia poi chiuso i suoi uffici esteri e presentato istanza di fallimento è il simbolo del cambiamento del giornalismo dall’11 settembre in poi.
L’origine delle notizie
In aggiunta, in quel momento, il giornalismo stava già vivendo un momento di passaggio, con l’inizio della crisi della stampa tradizionale e l’avvento di Internet. Cambiamenti così rapidi e massicci da mettere in discussione lo scopo stesso del giornalismo: coprire la notizia o “farla”? Il processo di segnalazione di una notizia nasceva tradizionalmente da una raccolta accurata di informazioni.
Poi le notizie sono improvvisamente diventate alla portata di tutti, e gli standard giornalistici sono stati spesso dimenticati. Il cellulare, nelle mani di qualsiasi attivista o comune cittadino, è diventato uno strumento di cruciale importanza, capace di portare all’attenzione del giornalista qualsiasi evento. Per poi trasformarlo, ancor prima di valutarne la reale importanza, in una grande storia. L’iter si è capovolto.
L’esempio del New York Times
Il New York Times all’indomani dell’11 settembre 2001 si è distinto in un panorama dominato da aggettivi eclatanti e affermazioni forti e definitive, come “infamia” e “scontro di civiltà” . Il titolo del New York Times, “Attacco agli Stati Uniti”, apriva il 12 settembre 2001 33 pagine di cronaca sugli attentati con gli articoli scritti da centinaia di reporter e fotografi inviati sul campo. Una copertura che non si è limitata a quel giorno, naturalmente, ma che è anche proseguita nelle settimane seguenti.
Poi, un team di 110 giornalisti si è messo sulle tracce di amici e parenti delle vittime per cercare notizie, indizi, storie. Un lavoro da cui sono scaturiti migliaia di ritratti, in cui sono state le persone a parlare. Senza bisogno di commenti, né di conclusioni esterne sulle sorti dell’umanità. Nel 2002 la copertura degli attacchi è valsa al Times 7 premi Pulitzer. Un record senza precedenti che ha segnato l’eccezionalità di un giornalismo che capita d’incontrare sempre meno di frequente.
Foto: WikiCommons – Flickr user TheMachineStops. Credit: Robert J. Fisch.