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Giornalismo in Afghanistan: chi racconterà il Paese sotto il regime?

L’apparente disponibilità dei rappresentanti talebani nei confronti della stampa si è presto rivelata una mera facciata. La libertà dei media è a rischio, mentre la maggior parte dei reporter, locali e stranieri, tenta di fuggire temendo per la propria incolumità

I pochi giornalisti occidentali rimasti a Kabul insieme ai giornalisti afghani documentano il crescente e palpabile pericolo per le strade della città, i tentativi di fuga, le scene strazianti all’aeroporto. E questa è Kabul: di ciò che accade nel resto del Paese è praticamente certo che non vedremo né sapremo mai nulla, al di là di qualche sporadica voce non confermata. Per quanto tempo?

Giornalisti in fuga dal regime

Televisioni e testate giornalistiche di tutto il mondo stanno rimpatriando troupe e corrispondenti, generando così un vuoto di notizie. L’Associated Press – una delle principali fonti di dall’Afghanistan per i notiziari di tutto il mondo – ha riferito di aver fatto partire con urgenza alcuni membri dello staff già la scorsa settimana. Per quanto riguarda la stampa locale, l’apparente apertura iniziale da parte del regime è sfumata in pochissimo tempo: basti pensare che è stata appena vietata la musica; figuriamoci la stampa libera.

Gli afghani che negli ultimi vent’anni hanno contribuito alla raccolta di notizie per gli americani e la stampa occidentale – giornalisti locali, interpreti, autisti e semplici cittadini – sono considerati soggetti vulnerabili, a rischio di ritorsioni da parte dei talebani. Il Comitato per la protezione dei giornalisti, con sede a New York, ha ricevuto centinaia di richieste di aiuto per lasciare l’Afghanistan da parte di reporter locali in pochissimi giorni. Aiutarli, però, è tutt’altro che facile.

Lo sviluppo della stampa locale

L’Afghanistan è considerato uno dei posti più pericolosi al mondo per i giornalisti. Almeno 85 reporter locali sono stati uccisi negli ultimi 20 anni, secondo Reporters sans frontières. Ciononostante, dai primi anni 2000, in Afghanistan si è sviluppata una interessante rete di giornalismo indipendente, ben radicata anche se poco conosciuta all’estero (d’altronde le vicende interne del Paese prima di questa nuova salita al potere dei talebani non sono mai state ai vertici dell’interesse degli occidentali).

Alcuni giornalisti stanno portando avanti il loro lavoro, altri cercano di lasciare il Paese temendo per la propria incolumità. Tolo News, uno dei canali televisivi più seguiti, ha dato in diretta la notizia della partenza del presidente Ashraf Ghani per poi salire alle cronache dei notiziari di tutto il mondo per via dell’intervista a un rappresentante dei talebani realizzata da una giornalista, Beheshta Arghand.

Reporter sotto attacco

Purtroppo, questa apparente disponibilità da parte del regime si è presto sgretolata. È del 26 agosto la notizia di un reporter e di un cameramen di Tolo Tv picchiati in strada nella capitale dai talebani. Un fatto tutt’altro che isolato. Il sito di Tolo News parla di numerosi giornalisti aggrediti dai talebani. Alle giornaliste donne si consiglia di restare a casa, in luoghi protetti. Il timore è che la situazione torni a breve la medesima degli anni ’90, quando non esisteva una stampa libera nel Paese e le notizie disponibili provenivano principalmente dai canali controllati dai talebani.

L’immagine dei talebani oggi è sicuramente diversa da quella del passato. È quasi curioso osservare come si prestino alla comunicazione e alla visibilità attraverso i media. Si sono dotati di un portavoce, utilizzano i social network. Addirittura organizzano conferenze stampa. L’impressione diffusa, tuttavia, è che si tratti di una mera facciata. I fatti, al momento, confermano la stessa intenzione di reprimere, senza timore di usare la forza, i principali diritti fondamentali. Tra i quali la libertà di espressione.

Foto: Carl Montgomer