I social media sono diventati il canale preferenziale per la diffusione delle fake news, dalle teorie complottiste a notizie costruite appositamente per orientare l’opinione pubblica. Le azioni di contrasto sono in aumento, ma il fenomeno è difficile da arginare
L’espressione “fake news” è diventata ormai di uso comune. Strettamente connessa all’utilizzo dei social, è una pratica che ha in realtà origini ben più lontane. Wikipedia parla addirittura del 1814, quando un uomo dichiarò, per presunte ragioni politiche, la falsa morte di Napoleone. Da allora, sono stati numerosi i casi, più o meno riusciti, di diffusione di notizie false, prima attraverso i media tradizionali, poi, con maggiore facilità e una capacità di penetrazione capillare, tramite i social network. I casi più recenti ed eclatanti riguardano le elezioni presidenziali americane e la pandemia da Covid-19.
Il report Industrialized Disinformation: la proliferazione delle fake news
Il report Industrialized Disinformation: 2020 Global Inventory of Organized Social Media Manipulation, pubblicato dall’Internet Institute dell’Università di Oxford, ha riscontrato in 81 Paesi di tutto il mondo episodi di manipolazione dei social media da parte di governi, partiti politici, organizzazioni e società private. Nel report 2019, erano 70. Allo stesso tempo, nel corso dell’ultimo anno, i social media hanno adottato misure importanti per combattere l’uso improprio delle loro piattaforme. Facebook e Twitter, tra gennaio 2019 e dicembre 2020, hanno rimosso più di 317mila account e pagine.
Il report evidenzia inoltre una crescente attività di società private ingaggiate da partiti politici con lo scopo di orientare forzatamente l’opinione pubblica. È questa una delle modalità più frequenti di propagazione di fake news: una vera e propria attività “professionale”. In occasione delle elezioni presidenziali statunitensi del 2020 la produzione di contenuti falsi è proliferata. Una situazione aggravata dalla tendenza parallela degli utenti a utilizzare i social media come unica o prevalente fonte di informazione, a scapito degli organi di stampa ufficiali.
La pandemia e la risposta dei social
Il Covid-19 ha rappresentato una potente leva per i produttori di fake news. Da notizie completamente inventate a fantasiose teorie complottiste, nel corso del 2020 il web è stato inondato di contenuti falsi. Particolarmente insidiosi, per due ragioni. Primo, perché vanno a toccare una sfera sensibile come quella della salute. Secondo, perché sfruttano la novità e l’eccezionalità di un evento fino a un anno fa sconosciuto, sul quale la stessa comunità scientifica ha dovuto provvedere in tempi strettissimi a formarsi un’opinione, tuttora non univoca.
I social media hanno aggiornato i loro algoritmi, basati su tecnologie di deep learning, per contrastarne la diffusione. Al controllo automatico è necessario comunque affiancare una verifica umana, perché la disinformazione, oltre ad essere difficile da rilevare, trova costantemente nuove strade. Infatti, non si è fermata. Anzi: ha trovato nel discorso pubblico sui vaccini una nuova frontiera. Può sembrare una lotta persa in partenza, considerando la vastità della rete e il fattore temporale: il video complottista Plandemic è stato visto da 8 milioni di utenti prima di essere rimosso (azione che, oltretutto, non ha fatto altro che rafforzare la convinzione dell’esistenza di un complotto in chi già era predisposto a credervi).
Vaccini e fake news: gli sviluppi più recenti
Per arginare il fenomeno, Facebook, Google, Microsoft, Twitter, TikTok e Mozilla hanno firmato un Codice di buone pratiche sulla disinformazione. Le azioni dei colossi del web, secondo quanto riporta la Commissione europea, vanno dall’investimento di somme rilevanti destinate al fact checking allo sviluppo di estensioni in grado di proteggere dalla disinformazione. Twitter, da parte sua, ha impostato un nuovo sistema di “etichettamento” sui tweet che trasmettono notizie false o fuorvianti sul tema dei vaccini anti Covid. Ad ogni contenuto di questo genere, Twitter applicherà un’etichetta con un link a informazioni ufficiali sull’argomento: quando un utente supererà le 5 etichette, il social potrà valutare se bloccare o rimuovere l’account in questione. Azioni mirate in contrasto a un fenomeno pervasivo, che probabilmente avranno bisogno, per ottenere risultati, di un approccio sempre più globale e coordinato.