Un museo deve raccontarsi per farsi conoscere al pubblico. Ecco come farlo seguendo le migliori best practice italiane ed internazionali
Oggi l’esperienza offerta dai musei non si limita alla semplice esposizione di dipinti, sculture, oggetti d’arte o storici, accompagnati da brevi o lunghe descrizioni, né è sufficiente l’ideazione di un percorso tematico che guidi, magari attraverso supporti audio o tramite un accompagnatore, il visitatore attraverso una storia. Gli elementi fondanti di un museo devono essere amplificati da un racconto, da uno storytelling che ne prolunghi e ne proietti l’eco oltre le mura dell’edificio che li ospita. Grazie ai supporti digitali, dal sito web ai social, dalle visite virtuali a più complesse operazioni narrative, l’esperienza del museo oggi inizia prima della visita vera e propria, prosegue una volta che questa è terminata e, talvolta – a maggior ragione in seguito alle restrizioni dettate dalla pandemia di Covid-19 – nasce anche senza la presenza fisica del visitatore nel luogo espositivo.
Già da diversi anni molti musei condividono le loro collezioni online. La digitalizzazione delle opere d’arte rappresenta una grande opportunità per la promozione del patrimonio, per estendere la fruizione e il rapporto con i visitatori oltre il museo e incoraggiare i processi di co-creazione con il pubblico. Recentemente, The Smithsonian Institution ha pubblicato 2,8 milioni di immagini ad alta risoluzione provenienti da tutte le sue collezioni su una piattaforma online ad accesso libero, mentre i musei della città di Parigi hanno reso disponibili oltre 300mila riproduzioni digitali di opere d’arte tramite Open Access, una modalità che permette di visualizzare, scaricare e riutilizzare liberamente i file pubblicati: Open Access è uno strumento strategico per ampliare e fidelizzare il pubblico offrendo strumenti che permettono di esplorare, archiviare a piacere e rielaborare opere normalmente considerate “intoccabili”, e che oggi invece ognuno può sentire più vicine a sé.
L’importanza dei social
Non basta, però, l’utilizzo del sito web con la pubblicazione della collezione per estendere la fruizione. Ad essa è importante affiancare un ulteriore livello di narrazione sfruttando le potenzialità dei social. Diversi musei offrono tour in diretta Facebook e Instagram delle loro collezioni e mostre, magari guidate da curatori e direttori artistici, o da personalità rilevanti in materia, influencer e personaggi pubblici. A partire dal periodo del lockdown, il canale Instagram della Triennale Milano ha iniziato a trasmettere un vero e proprio programma di incontri con artisti, “Triennale Decameron”, in diretta ogni giorno alle ore 17. Il National Geographic Museum ha coinvolto buona parte del suo staff e dei suoi collaboratori esteri – scienziati, esploratori, fotografi – mettendoli, virtualmente, davanti al pubblico: in questo modo le persone possono accedere al “dietro le quinte”, un’esperienza aggiuntiva che normalmente una classica visita non include. In questo senso, le limitazioni imposte dalla pandemia, pur avendo generato un innegabile e grave danno alle istituzioni culturali, allo stesso tempo hanno stimolato l’utilizzo di nuovi strumenti e la creazione di nuovi linguaggi, aprendo nuove strade per la fruizione dei beni culturali e artistici.
C’è poi chi ha utilizzato Facebook per creare una vita immaginaria (ma verosimile), capace di immergere il lettore in un’altra epoca: una modalità tanto semplice e immediata quanto innovativa. È il caso del Museo della Grande Guerra (Musee de la Grande Guerre) in Francia, che ha creato un profilo Facebook per Leon Vivien, un giovane uomo che viene strappato dalla sua famiglia dalla guerra (e alla fine muore, nel 1915). La pagina ha visto oltre 50mila follower e 5mila commenti nelle prime due settimane, e il museo (con sede a Pays de Meaux, Marne) ha registrato un aumento del 45% delle visite.
Storytelling immersivo
Lo storytelling immersivo permette di espandere l’esperienza dei visitatori, specialmente nelle fasi pre-visita e post-visita, facendo letteralmente entrare il pubblico in un mondo di realtà aumentata dove osservare e ascoltare storie in una versione interattiva e originale. Il Van Gogh Museum di Amsterdam ha realizzato a Londra un tour “pop-up” con riproduzioni tridimensionali, proiezioni su larga scala e attività interattive che permettono, ad esempio, di farsi un selfie sul letto del pittore. Restando sul tema, l’Art Institute di Chicago, in occasione della mostra Van Gogh’s Bedrooms, ha offerto al pubblico la possibilità di dormire in una stanza del tutto simile a quella riprodotta su tela, tramite Airbnb: una camera da letto di un appartamento nel River North trasformata nella camera da letto nella casa gialla di Arles, in Francia, che Van Gogh adorava.
Un elemento determinante nell’ampliamento del pubblico e nella costruzione di uno storytelling condiviso è il coinvolgimento diretto, in prima persona degli utenti. Il National Museum of African American History di Washington, temporaneamente chiuso a causa del Coronavirus, ha lanciato, a giugno, Voices of Resistance and Hope, una piattaforma comunitaria dove le persone possono caricare immagini, racconti, storie, saggi, poesie, fotografie, brevi video e osservazioni su i due principali elementi di crisi e di svolta di questo periodo: la pandemia e il movimento Black Lives Matter. In poco tempo, la piattaforma è diventata una risorsa per i curatori del museo, un ricchissimo raccoglitore di storie, immagini, pensieri, che potranno in futuro dare vita a un interessante mosaico collettivo, utilizzabile anche per realizzare mostre e incontri, appena sarà di nuovo possibile.
La natura intrinseca di un museo come quello dedicato alla storia del popolo afroamericano si presta in modo particolare a questo approccio narrativo; tuttavia, simili operazioni si possono applicare, modellandole su tagli specifici, anche su istituzioni culturali differenti. L’obiettivo è il medesimo: orientare lo sguardo al visitatore, ponendolo al centro dell’esperienza offerta dal museo e permettendogli di interagire con quanto il museo propone, anche quando non può essere fisicamente presente. Il vantaggio è reciproco: l’ente culturale amplia il suo pubblico e la sua offerta grazie agli stimoli che arrivano dalla comunità, le persone si sentono valorizzate e spronate a diventare parte attiva del mondo della cultura e dell’arte.